LA CULTURA MADRE GILANICA

La sociologa Riane Eisler ha indicato con il neologismo gilania – dalle parole greche gynè, “donna” e anèr, “uomo” (la lettera l tra i due ha il duplice significato di unione, dal verbo inglese to link, “unire” e dal verbo greco lyein o lyo che significa “sciogliere” o “liberare”) – quella fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.c in rapporto soltanto al neolitico) fondata sull’eguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di gerarchia e autorità, di cui si conservano tracce tanto nelle comunità umane del Paleolitico superiore quanto in quelle agricole del Neolitico.
La Eisler quindi contesta duramente l’opinione dominante, particolarmente diffusa nella società occidentale « grazie » soprattutto all’opera di propaganda svolta dalla storiografia ufficiale, secondo cui gli esseri umani sarebbero sempre stati violenti proprio a causa di una loro intrinseca natura. Questo « assioma » si è sviluppato perché storici e antropologi hanno arbitrariamente collocato l’inizio della civilizzazione umana in un periodo dove la nascita e lo sviluppo del linguaggio scritto sono andati di pari passo alla diffusione della violenza e delle guerre.
Gli studi di alcuni archeologi/ghee storici/che – tra cui Marija Gimbutas – dimostrano che per buona parte della loro storia gli esseri umani hanno vissuto in comunità sostanzialmente pacifiche ed egualitarie all’incirca sino al 4000 e il 3000 a.c, tali ricerche potrebbero essere una possibile prova delle teorizzazioni elaborate dall’illuminista svizzero Jean-Jacques Rousseau, che aveva dato un’ accezione positiva e non-corrotta dell’uomo primitivo.
Come ampiamente dimostrato dai reperti ritrovati dagli archeologi e dalle archeologhe, allorché una serie di grandi migrazioni Indo-Europee dal sud della Russia e dall’Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia) verso l’Europa, avrebbero completamente distrutto le popolazioni locali. La Eisler, che ha dedicato gran parte dei suoi lavori proprio allo studio di queste antiche comunità, definisce come androcrazia – termine derivato dalle parole greche andros, “uomo” e kratos, “governato”- il sistema dominatore maschile importato dagli Indo-Europei (i Kurgan) che impose alcune forme di dominio come il patriarcato, la gerarchia, le classi sociali e l’autorità.
Della civiltà gilanica, seppur con questo termine la Eisler si riferisca più propriamente alle società agricole del Neolitico, si ritrovano i primi segni sin da circa 40.000 anni fa, cioè nell’epoca storica chiamata Paleolitico Superiore (30-10.000 a.c). Per Eisler e la Gimbutas i nostri antenati credevano in una Dèa che governava l’universo e che era fonte di unità universale, la quale sovveniva alle necessità materiali e spirituali degli umani, proteggeva i suoi bambini dalla morte riprendendoli nel suo ventre cosmico.
Alcuni ritrovamenti mostrano una straordinaria rassomiglianza tra queste figure femminili e quella che più specificamente viene chiamata Dea Madre, riconducibile più propriamente al Neolitico.
I popoli del paleolitico erano ben coscienti della «divisione del mondo animale ed umano in metà contrapposte». I “paleolitici” espressero forme religiose in cui figure e simboli femminili avevano un ruolo centrale rispetto a quello maschili, a dimostrazione dell’importanza che essi davano alla figura femminile.
Infatti, tutti i ritrovamenti  – conchiglie a forma di vagina, l’ocra rossa delle sepolture, le statue di Venere, pitture rupestri ecc. – non erano per nulla da considerare “mostruosità” o espliciti riferimenti di erotismo maschile (come invece pensavano gli storici che ritenevano che nel mondo avesse sempre prevalso il modello androcentrico), bensì si riferivano ad una forma di culto in cui la donna aveva un ruolo fondamentale nella società in quanto donatrice di vita; in particolare la figura femminile era associata alle forze della vita e alla non violenza e le donne spesso erano rappresentate come dèe o sacerdotesse.
Le centralità della donna e l’assenza nella società “primitiva” di violenza come fatto consuetudinario (contrariamente all’immagine che solitamente viene trasmessa del paleolitico, ovvero quello di una società violenta, rozza e maschilista), è dimostrato proprio dall’assenza nell’arte del paleolitico superiore di rappresentazioni di scene di violenza: non una raffigurazione di guerre, di eroi guerrieri, di armi utilizzate da umani contro altri umani.
È rappresentato soprattutto quello che corrispondeva alla venerazione della vita: la donna, le piante e gli animali.
Il culto egualitario e non violento della Dea Madre o Grande Madre “dominò” quindi in Europa, nel Vicino e Medio Oriente (altre tracce sono state ritrovate anche in America e in Asia) almeno sin dal Paleolitico superiore e poi si diffuse ampiamente alle società neolitiche.
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